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ADOZIONI DALLA CAMBOGIA

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Rabbia e preoccupazione: questi i sentimenti espressi da Paola Crestani, Presidente di CIAI dopo avere letto il report dell’organizzazione Licadho riportato anche da Vita.it  in merito allo scandalo delle adozioni in Cambogia .
Non ci si rende conto che questi scandali mediatici sono giocati sulla pelle delle persone, specialmente dei bambini adottati di cui nessuno pare preoccuparsi. Bambini diventati ormai ragazzi e quindi in contatto con il mondo dei media” sostiene Paola Crestani che racconta di essere già stata contattata da diverse famiglie, ovviamente messe in allarme.
CIAI richiede che venga subito fatta chiarezza e si rivolge, soprattutto alla CAI, la Commissione Adozioni Internazionali, Autorità Centrale italiana.
Se ci sono dei colpevoli devono essere individuati e subito. Se ci sono delle vittime devono essere indicate in modo preciso e tutelate.
Nell’articolo si riporta una frase pronunciata da Naly Pilorge direttore di Licadho, l’organizzazione cambogiana che ha denunciato lo scandalo– ‘Non sappiamo quali siano le organizzazioni coinvolte’: è offensivo. Sarebbe come dire,  sono tutti colpevoli. CIAI non ci sta!” ribadisce Paola Crestani.
Qualcuno ha pensato a come possono sentirsi in questo momento tutti quei ragazzi adottati dalla Cambogia in quegli anni, che potrebbero essere vittime di adozioni fraudolente? Potete immaginare la reazione di un adolescente di fronte ad una “bomba” di questo tipo? Una bomba che colpisce nel mucchio, appunto, senza fornire gli strumenti per capire chi sia coinvolto e chi meno. “E se fossi io?” potrebbe chiedersi ognuno di quei ragazzi e di quelle ragazze. E lo stesso vale per le loro famiglie.
Già nel 2006 avevamo trasmesso alla nostra Autorità Centrale e al governo cambogiano la denuncia di Licadho di rischio di abusi e comportamenti immorali da parte dei diversi soggetti coinvolti nella procedura adottiva. Oggi chiediamo a Licadho di fare chiarezza, a fondo e al più presto” ricorda Paola Crestani.
CIAI garantisce che per le adozioni realizzate dalla Cambogia – un totale di 60, tra il 2001 ed il 2009 – sono state sempre messe in atto tutte le cautele indispensabili per prevenire abusi e pratiche illecite.
Innanzitutto controllando le attività dei referenti locali, tutti pagati a stipendio e non a pratica di adozione; poi tracciando attentamente ogni transazione economica, lavorando solo con istituti governativi, valutando attentamente ogni segnalazione e i relativi stati di abbandono, rifiutando sempre qualunque richiesta indebita di denaro, fosse anche la mancia per produrre più velocemente un documento.
Certo lavorare in questo modo costa, non solo economicamente. Costa perché i tempi delle procedure si allungano, perché sostenere degli stipendi (anche adesso, a distanza di quasi dieci anni dalla chiusura delle adozioni) per garantire una presenza efficace nel Paese è oneroso, perché dire di no alle richieste di corruzione o alle proposte di intermediazione non è semplice ed a volte addirittura pericoloso. Ma abbiamo sempre lavorato cosi e continueremo sempre a farlo, finché ci sarà un bambino che ha bisogno di una famiglia” sottolinea Paola Crestani.
Affrontare in questo modo i crimini che sono stati commessi nell’ambito delle adozioni rischia di essere dannoso per tutti: i bambini, le loro famiglie biologiche, le loro famiglie adottive. Servono invece indagini approfondite e trasparenti, controlli altrettanto attenti e severi da parte delle istituzioni preposte, responsabilità da parte di chiunque sia a qualsiasi titolo coinvolto nelle procedure adottive.
Lo dobbiamo ai bambini e ragazzi che sono stati adottati ma anche a tutti coloro che ancora vivono senza una famiglia.
Qui l’articolo di Vita.it
6 aprile 2018
 

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